
Recensione al libro del prof. Fabrizio Fabbri: “Lo splendore della Verità”
(Daniele Trabucco)
L’opera del prof. Fabrizio Fabbri, "Lo splendore della verità. Insegnare religione cattolica con Dante", edita dalla prestigiosa casa editrice "Il Cerchio", si offre al lettore come meditazione sull’intreccio profondo tra fede e ragione, poesia e teologia, educazione e contemplazione, in una prospettiva in cui il pensiero dantesco non è semplice oggetto di studio, ma via di accesso al mistero stesso dell’Essere.
In Dante, la verità non si presenta come concetto statico o precetto moralistico, bensì come luce che si irradia e attrae, splendor veritatis che si manifesta nella parola poetica e che restituisce all’uomo la sua vocazione originaria: non la chiusura nell’immanenza, ma l’apertura alla trascendenza. È in questa prospettiva che l’autore coglie la possibilità di un insegnamento religioso che non si riduce alla trasmissione di nozioni, ma diventa esperienza, itinerario, ascesa, secondo la stessa logica che guida Dante dalla selva oscura alla visione beatifica.
Il cammino educativo delineato dal prof. Fabbri è animato dalla consapevolezza che la ragione, pur nobile e necessaria, non basta a se stessa, ma domanda di essere condotta oltre i propri confini: Virgilio illumina la via, ma solo Beatrice, figura della grazia, conduce all’ultimo compimento. È la medesima dinamica che Santa Teresina di Lisieux ha testimoniato con la sua "piccola via", ove la grandezza di Dio si rivela nella semplicità dei gesti quotidiani, e la contemplazione del mistero si compie nell’abbandono filiale. Ciò che Dante rappresenta con la grandiosità della sua architettura cosmica, Teresina lo restituisce nell’umiltà radicale di un’anima che si offre interamente all’Amore, e la loro voce si unisce nel proclamare che la verità cristiana non è peso che grava, ma bellezza che trasfigura.
Questo intreccio di grandezza e semplicità trova risonanza nella lezione di Cornelio Fabro, che ha denunciato la tentazione moderna di dissolvere la trascendenza nell’immanenza, richiamando la necessità di custodire la verticalità metafisica dell’uomo, sempre aperto all’Assoluto. In questa stessa linea, si colloca il pensiero di Reginald Garrigou-Lagrange, maestro del tomismo del XX secolo, che ha ribadito con forza come la ragione, pur esercitata nella sua legittima autonomia, trovi il suo perfezionamento solo nella luce della fede. Egli ha insistito sulla necessità di mantenere la tensione metafisica dell’intelligenza verso l’Essere, contro ogni forma di riduzionismo immanentistico e storicista: la verità non si esaurisce nel divenire, ma trova la sua consistenza nell’immutabile fondamento divino. Leggere Dante, nella prospettiva che Fabbri propone, diventa allora atto di resistenza contro l’ateismo pratico e apertura alla pienezza dell’Essere, in cui la poesia si trasfigura in metafisica incarnata e pedagogia dello spirito. Così come Garrigou-Lagrange ha mostrato che la teologia, se fedele a Tommaso, non mortifica la ragione ma la eleva, allo stesso modo la lettura dantesca conduce a una contemplazione che non annulla l’intelletto, ma lo porta al suo fine ultimo.
Questa visione si innesta nella linea maestra del magistero cattolico, che san Pio X, nella Enciclica "Pascendi Dominici gregis" del 1907, ha difeso con vigore contro la riduzione modernista della fede a pura esperienza soggettiva. In Dante, come nella prospettiva di Fabbri, la verità si impone non come sentimento effimero, ma come realtà oggettiva, fondata nell’ordine divino, che si comunica attraverso la bellezza del linguaggio poetico. L’insegnamento religioso, così concepito, diventa trasmissione viva di una verità che attrae perché è splendore, che convince perché è luce, che educa perché conduce al centro stesso dell’esistenza.
Il libro si distingue, dunque, per la capacità di fondere insieme dimensione speculativa e dimensione pedagogica, tensione metafisica e concretezza educativa, altezza della visione dantesca e profondità della via teresiana, rigore fabriano e sensibilità lirica, respiro ecclesiale e testimonianza personale. In esso si rivela che l’insegnamento della religione cattolica non è una disciplina accessoria, ma un’introduzione alla totalità dell’essere, in cui la verità si offre come bellezza e la bellezza si rivela come verità. Lo splendore che Dante contempla nell’Empireo non è diverso dalla luce che illumina il cuore semplice di Teresina, e ciò che Pio X, Fabro e Garrigou-Lagrange hanno affermato con forza teoretica trova qui la sua espressione pedagogica: educare è condurre l’anima verso l’incontro con il Logos, Verbo eterno che si è fatto carne.
Lo splendore della verità è, pertanto, un’opera che non solo riflette, ma testimonia; non solo interpreta, ma guida; non solo descrive, ma introduce. È un libro che restituisce alla fede il suo volto luminoso, e all’insegnamento religioso la sua dignità più alta: essere via verso la contemplazione di Dio, principio e fine di ogni verità.